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BIO FAKE

Il lato oscuro del cibo bio. Come smascherarlo, per scegliere con consapevolezza.



Mentre i nutrizionisti spezzano lance in favore del cibo biologico, più ricco di antiossidanti rispetto a quello protetto da pesticidi e nutrito con concimi chimici, un susseguirsi di scandali lo mette invece in cattiva luce. Si va dal caso del commerciante che fa il furbo e vende come autoprodotte in modo biologico le verdure che invece ha comprato all’Ortomercato, fino alle grandi truffe che si susseguono dal 2002, anno in cui i NAS scoprirono una frode di oltre 6 milioni di euro e sequestrarono ingenti quantità di riso trattato con antiparassitari ma dichiarato biologico attraverso false attestazioni. Ricordo quando, nel 2011, la Guardia di finanza di Verona sequestrò oltre 700mila tonnellate di falsi prodotti alimentari bio, praticamente il 10% dell'intero mercato nazionale! Tutto questo ovviamente danneggia i produttori onesti. E rende noi cittadini vittime di frodi facilitate sia dalla crescita dell'import - cui non è seguito un proporzionale aumento dei controlli – sia dalla vendita nei canali a filiera lunga (supermercati, ipermercati) che rendono più difficile la tracciabilità.


Le frodi non screditano il bio in sé, bensì le materie prime importate, per esempio soia e orzo utilizzati nel comparto zootecnico o nelle lunghe filiere della panificazione industriale. A favorirle è la

farraginosità del nostro sistema di certificazione, così come la lunghezza della catena distributiva. In pratica, più numerosi sono i passaggi dal campo al piatto, più è facile perpetrare la truffa. E il problema non riguarda solo il biologico, perché l’Italia è il Paese leader in Europa per le agromafie e le frodi alimentari. Quello del ‘cibo pulito’ però è l’unico settore in crescita, con un giro d'affari miliardario di cui molti vogliono approfittare.


BIO A MODO MIO

<<Il 90% dei controlli è fatto sulla carta>> dice Marco Cuneo, titolare dell’azienda agricola omonima e pioniere del bio nel sud-ovest milanese <<Quando ho convertito la mia azienda al biologico e ho presentato la domanda di certificazione all’ICEA, pensavo che venisse qualcuno a fare un’analisi del terreno, invece niente: devi solo compilare una gran quantità di carte e dopo due anni sei certificato. Anche successivamente i controlli non sono eseguiti sul terreno o sui prodotti, ma verificando per esempio i documenti d’acquisto delle sementi e il luogo dove le hai comprate>>. Con che frequenza vengono effettuate queste verifiche? <<Da me in 4 anni sono venuti solo una volta. >>. La situazione è poi complicata dal fatto che gli enti certificatori sono privati a ognuno applica la regolamentazione a suo modo. <<A un’agricoltrice della zona di Rho che aveva fatto richiesta di conversione è arrivato un responso negativo perché i suoi campi erano in prossimità di un’azienda che produce vernici. Ha risolto il problema rivolgendosi a un altro ente certificatore che le ha dato il permesso di procedere. Io stesso, quando ho iniziato, volevo produrre riso bio e ho chiesto al mio ente se c’erano altri produttori nella zona. Risposta: solo un paio. Poi sono andato a controllare in internet e ho visto che invece ce n’erano un sacco, ma erano certificati da un ente diverso dal mio>>.



IL PERICOLO E’ LA NON TRASPARENZA

In questo ginepraio in cui la normativa sembra avere mille interpretazioni, sono i numeri a suggerire dove sta il bandolo della matassa. <<Secondo la Regione>> spiega Cuneo <<in Lombardia sono state rilasciate circa 1700 certificazioni bio, di cui la metà a trasformatori. I produttori sono circa 800 di cui la metà apicoltori. Ma se gli agricoltori biologici in Lombardia sono solo 400, come fanno ad esserci così tanti trasformatori? Significa che la maggior parte delle materie prime arriva dall’estero. Ed è qui che, allungandosi la filiera, si aprono le sacche in cui è più facile perpetrare la frode>>. Per difendersi, quindi, bisogna puntare sul km zero? <<Sì, a patto che non sia fasullo. Se vivi al Nord e al mercatino dei piccoli produttori trovi finocchi e cavolfiori in febbraio, dovrebbe suonarti un campanello d’allarme: la stagionalità locale è il primo requisito del cibo del territorio>>.



Fare la spesa richiede quindi più consapevolezza. E se, fino a ieri, il consumatore consapevole era quello che leggeva l’etichetta, oggi non basta, perché i patti transatlantici che regolano il flusso del commercio tra Europa e Paesi d'Oltreoceano (Canada e Cina in primis) rimuovono molte barriere non tariffarie, cioè le differenze tra regolamenti tecnici, normative e standard applicati ai prodotti. Se pensiamo che negli USA non è obbligatorio indicare in etichetta la presenza di OGM (organismi geneticamente modificati) capiamo perché il mindful eating oggi è anche e soprattutto conoscenza di quali pericolose pedine stiamo muovendo nel momento in cui compriamo un prodotto piuttosto che un altro, a un prezzo più basso e senza controllarne la provenienza.



COME DIFENDERSI

In questa situazione sempre più complessa, la soluzione è aumentare gli acquisti direttamente dal produttore, saltando tanti passaggi per tenere la situazione sotto (il proprio) controllo. Fidarsi di meno, informarsi di più: al momento, questa è la strada percorribile. Ed ecco i consigli utili:

  • Compra direttamente in cascina i prodotti agricoli. Certo è difficile cambiare abitudini: secondo Assobio, il miglior andamento delle vendite bio si registra nei discount e negli ipermercati! Diventando consapevoli, ci si accorge invece che è fondamentale mutare l’approccio e trasformare il consumo da gesto passivo – allungo la mano sullo scaffale e prendo – in una compartecipazione attiva. <<Alcuni coltivatori certificati bio, per esempio, non usano pesticidi e concimi chimici ma prima di seminare sterilizzano il terreno col vapore, impoverendolo dei suoi principi vivi e vitali>> specifica Marco Cuneo. Se accorci le distanze e vai a conoscere il produttore, puoi verificare da dove vengono le verdure, come vengono trattati gli animali, come vengono curati i terreni.

  • Nel negozio tradizionale chiedi sempre la provenienza dei prodotti. Compra local, da aziende in un raggio massimo di 70 km.

  • Sfrutta la tecnologia. Esistono piattaforme online che rendono possibile l’accorciamento della filiera mettendo direttamente a contatto produttore e consumatore. Prodotti a km Zero (www.prodotti-a-km-zero.it), per esempio, è nato per avvicinare consumatori e produttori della stessa area geografica. Non tutto è bio. Ma tra un vero km zero e un bio global - quindi non sicuro - è meglio il primo.

  • Compra solo cibi di stagione. Se abiti in Italia ma pretendi di mangiare i pomodori in febbraio ti candidi all’acquisto di prodotti che non provengono dal nostro territorio. Ricorda: più lunga è la catena, maggiori sono le possibilità d’imbroglio. E se non vuoi rinunciare a mangiare le arance perché abiti in Piemonte, controlla che arrivino dalla Sicilia invece che dall’estero.

  • Iscriviti a un GAS (gruppo di acquisto solidale). Entrerai a far parte di un’organizzazione che rende sistematico e facile l’acquisto diretto dai produttori. Ma attenzione: tra i 1600 gruppi presenti in Italia, non tutti operano alla stessa maniera e alcuni si avvalgono di piattaforme di vendita cui affluiscono anche prodotti non del territorio. Molti altri invece selezionano le aziende da cui rifornirsi solo nelle vicinanze, dopo una visita diretta e un severo controllo. Prima di iscriverti, verifica che il gruppo abbia questo importante requisito nel suo statuto.


BIO E’ FEMMINA

Il 25,6% delle bio-aziende agricole europee è condotto da donne. E la cultura è il nuovo elemento che caratterizza le contadine di oggi rispetto a quelle di ieri: il 50% dei produttori bio ha il diploma di scuola media superiore, il 17% la laurea. Alta anche la propensione all'utilizzo delle nuove tecnologie: il 55% degli agricoltori biologici utilizza Internet.




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