Può l’amore essere privo di sofferenza? Sì, se si tratta di un sentimento che sgorga dalla mente/cuore senza le limitazioni della paura. Non è facile svilupparlo, ma quando si dispiega in noi, è come se il cielo si aprisse e si dissolvesse ogni nuvola, lasciandoci serenamente avvolti da un senso di interconnessione profonda in cui la solitudine scompare.
Nella tradizione meditativa buddhista la principale pratica per sviluppare questo tipo di amore è Mettā, la meditazione dell’amorevole gentilezza.
Le sue origini affondano in due discorsi del Buddha conosciuti con il nome di Mettā Sutta e ritrovati nel canone Pali (la raccolta degli insegnamenti originari del Buddha Shakyamuni). In questi discorsi, Siddharta parla di Mettā sia come meditazione da praticare, sia come qualità da coltivare. Grazie a Mettā - una delle quattro "dimore divine" (in pali: brahmavihāra) - si sviluppano quindi sia la concentrazione meditativa che l’armonia nelle relazioni. Inoltre, poiché Mettā viene annoverata anche tra le dieci "perfezioni" (pāramī) che promuovono il risveglio della coscienza, si pongono le basi per ottenere la Buddhità, cioè il risveglio della nostra innata saggezza. .
La narrazione che accompagna il Mettā Sutta parla di un gruppo di monaci che il Buddha aveva mandato nella foresta a meditare. Terrorizzati dai rumori, i monaci cominciarono ad avere paura degli spiriti e chiesero aiuto al Maestro. Il Buddha insegnò loro il Mettā Sutta come antidoto per la paura. I monaci lo recitarono, si liberarono dalla paura e divennero così sereni e gioiosi che la loro allegria calmò anche gli spiriti.
STABILIZZARE L’AMORE CON LA PRATICA
Questa gentilezza amorevole che sconfigge la paura, a differenza della normale benevolenza, ha dentro di sé la costanza di uno stato mentale coltivato e mantenuto intenzionalmente. Comprendiamo quindi perché il Buddha storico ha parlato di Mettā sia come pratica sia come qualità: perché la qualità non si sviluppa senza pratica! E non si può ridurre a mera benevolenza perché Mettā è un termine multisignificativo che include, oltre alla gentilezza amorevole, la cordialità, la buona volontà, la benevolenza, l’amicizia, la concordia, l’inoffensività e non la violenza. I commentatori pali la definiscono come il forte desiderio di benessere e felicità per gli altri (parahita-parasukha-kamana): la vera Mettā, quindi, non è mai egoica, anzi, è priva di qualsiasi interesse meramente personale. Evoca dall'interno un caldo, potente e allo stesso tempo morbido sentimenti di amicizia, simpatia e amore, che cresce senza bisogno di conferme esterne, semplicemente con la pratica, superando qualsiasi tipo di barriera divisiva. Mettā è quindi vero amore. Universale, disinteressato e onnicomprensivo.
IL POTERE DELLA GENTILEZZA INTENZIONALE
Per scendere nel concreto, Il Mettā Sutta individua quindici qualità morali e condizioni favorevoli allo sviluppo di quella amorevole gentilezza che, assunta come filtro nella percezione della realtà, ci cambia letteralmente la vita riempiendo le relazioni di caldi sentimenti di connessione, sicurezza e armonia. Queste qualità includono l'essere sinceri, non ingannevoli, non suscettibili, gentili e privi di arroganza. In termini di sviluppo meditativo, spicca invece l’intento che si realizzi il bene di tutti (in Pali: sukhino vā khemino hontu = Possano tutti gli esseri essere felici e al sicuro") e la volontà di irradiarlo in tutte le direzioni.
Sale in primo piano quindi il potere proattivo dell’intenzione, espressa in frasi di benevolenza. Il Buddha ha sottolineato spesso quanto sia saggio coltivare chiare intenzioni per indirizzare su precise strade la nostra vita, impedendoci di cadere nel caos a cui la mente umana tende per natura. Le nostre intenzioni sono i battistrada dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre parole e, quindi, delle nostre azioni: ecco perché in Mettā viene declinato in diverse frasi il grande intento di diffondere il bene! Ripetendo le frasi con concentrazione, nel tempo la gentilezza amorevole si stabilizza liberandoci dai suoi opposti: l’asprezza, la resistenza, il giudizio, l’avversione. Ci aiuta a disattivare gli automatismi che tendono a chiuderci e a porci sulla difensiva. Ad aprire gli occhi e il cuore anche nelle situazioni in cui facilmente veniamo accecati dalla paura o dalla rabbia, superando i confini che ci fanno sentire divisi e soli. Possiamo così - per esempio - renderci conto di quanto soffre l’altro che ci attacca, prima di rispondergli pan per focaccia. E passare da una vita di reattività ad una vita in cui siamo consci delle nostre intenzioni e padroni delle nostre azioni.
MIRACOLI QUOTIDIANI
Potete cogliere abbondantemente i frutti della pratica se non vi limitate alla meditazione formale e portate lo spirito di Mettā nelle concretezza delle vostre giornate. Richiamate Mettā, per esempio, ogni volta che vi trovate a vivere una situazione relazionale spiacevole con le persone che amate e anche con quelle che detestate. In questi casi, la prima cosa è prendere consapevolezza dell’emozione divisiva o avversiva che sentite, la seconda è rinnovare l’intento di vivere con Mettā e la terza è augurare il bene usando qualcuna delle frasi che utilizzate durante la pratica formale. Per esempio: che tu possa vivere felice e sicuro, che tu possa riconoscere in te le origini della rabbia e della paura. Dopo qualche giorno, potete notare come vi sentite vivendo le relazioni con questa nuova, consapevole intenzionalità. Potete gioire quando, augurando il bene a uno sconosciuto mentre camminate per strada, se incontrate il suo sguardo forse lui vi sorride. Potete stare vicini a ciò che accade nella vostra mente quando si scatenano in voi emozioni ‘nemiche’ e provare ad essere gentili anche con loro. Potete sperimentare la verità contenuta in quella bellissima frase del Dalai Lama che dice: siate gentili quando è possibile; è sempre possibile.
Nel prossimo blogpost, vi scriverò le istruzioni su come praticare Metta...con qualche trucchetto per renderla più semplice. Stay tuned!
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